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di Livio Spinolo – Il gol è il succo del calcio, il momento culmine, la linfa vitale per l’attaccante, l’emozione che avvolge il tifoso. Ma poi ci sono gol e gol. Perché conta la qualità del gesto e conta il contesto, caratterizzato da tempistiche e soprattutto dalla competizione, dal peso specifico di quella partita. Se da poco sono risuonate le note che ogni calciatore vuole sentire riecheggiare prima di un match, quelle della Champions League, in occasione di un incontro non proprio banale, trattandosi di una semifinale, se il cronometro non ha ancora raggiunto il minuto e una palla vagante in area viene catturata e spedita in porta con un tocco delicato, preciso e al tempo stesso artistico perché è il tacco il pennello scelto per quell’affresco, allora si capisce che quella rete gonfiata avrà un sapore diverso. È successo l’altra sera in Barcellona – Inter e l’autore della prodezza è stato Marcus Thuram, uno che era in forse fino alla vigilia e che invece ha portato in vantaggio i nerazzurri, aprendo le marcature di una gara che con un prologo così non poteva che essere bellissima. Il gol di tacco è un’esperienza diversa, quando hai la fortuna di vederlo non lo dimentichi.
E nella competizione europea principe molti di noi ne ricordano più di uno e addirittura nel palcoscenico più importante, quello della finalissima. Il che sublima il gesto perché immaginarlo è già una fantasia ardita ma scegliere come teatro proprio quello e buttarla dentro proprio così diventa sinonimo di magia. Come quella che offri’ nel 1987 l’algerino Madjer per aprire la rimonta contro il Bayern a pochi minuti dalla fine, poi culminata con il sorpasso e il trionfo del Porto. La Storia esagerò un po’ coi tedeschi, perché ripropose lo stesso copione in un’altra finale, quella del 1999, persa ancora per 2-1 dopo essere stati in vantaggio, ma questa volta con il doppio colpo del ko arrivato addirittura a cavallo del 90′. Lì però nessun tacco si prese la scena. E non se la prese del tutto nemmeno due anni prima quando il ricamo recò la firma di una delle icone della storia juventina, Alex Del Piero: servì per accorciare le distanze nell’ultimo atto contro il Borussia Dortmund, che però poi allungò ancora portandosi sul definitivo 3-1 e garantendosi così la conquista della prima e, finora, unica Champions.
E poi ci sono i sono i gol di tacco che abbagliano per la loro bellezza. Perché il coefficiente di difficoltà si innalza a dismisura, essendo realizzati in acrobazia. Pensiamo a quel corner calciato dal compianto Mihajlovic, con Roberto Mancini che a mezza altezza si coordina e inventa, è proprio il caso di dirlo, una parabola già difficile da disegnare di suo, figuriamoci col tacco. Era il gennaio 1999, l’ex CT della Nazionale vestiva la maglia della Lazio e si giocava a Parma. Dopo 5 anni era tempo di Europei e un altro arcobaleno, sempre con quella parte del corpo, sempre con un pallone colpito a distanza da terra regalava alla Svezia il pareggio, proprio contro l’Italia. La firma fu di un visionario del gol, uno che queste giocate le aveva nel DNA, uno che deliziava anche i palati più fini, parliamo di Zlatan Ibrahimovic.
L’altra sera Marcus Thuram non ha siglato solo una rete meravigliosa, ha regalato un brivido che ne ha richiamati altri, da rivivere, perché è un po’ come ammirare un tramonto dalle mille sfumature: non ti stanchi mai di guardarlo.